SIENA – Con Giulia Cecchettin sono 105 le donne uccise in Italia nel 2023. Vittime quasi sempre della cerchia familiare.

Spesso ex fidanzati, come nel caso della giovane, che non accettano la fine dei rapporti. Un’ulteriore testimonianza che la società attuale, nonostante i progressi, fatica a digerire il ruolo paritetico tra i sessi. E soprattutto, come evidenzia Claudia Bini, legale dell’associazione Donna chiama donna di Siena, non è disposta a migliorare sé stessa.

Presidente, l’omicidio di Giulia Cecchettin ha risvegliato il Paese. Le piazze si riempiono per dire basta, ma le violenze proseguono
“Per cambiare una mentalità violenta ci vuole tanto impegno. Le piazze sono importanti ma non bastano. Ci vogliono investimenti e formazione. Mentre questi interventi sono necessari, nel frattempo la società continua a proporre un meccanismo in cui il sessismo è accettato. Poi c’è un martellamento che normalizza le pratiche violente”.

Cosa intende?
“Social e tv indicano un modello da seguire aggressivo, sprezzante. E’ sempre vincente, non può perdere mai”.

Manca ancora una legge sul femminicidio, però gli strumenti giuridici ci sono. Questa differenziazione è importante?
“Il reato è lo stesso, però è importante chiamarlo femminicidio perché fa riferimento alla violenza di genere”.

Nonostante la presa di coscienza sociale, i reati di genere non calano. Questa tendenza è da ricercare nella mancata accettazione da parte dell’uomo del ruolo odierno della donna?
“Penso di sì. Negli ultimi decenni c’è stata un’evoluzione giuridica, ma la mentalità della società non va di pari passo https://poradumo.com.ua/482020-kakaya-vysota-dolzhna-byt-u-skamejki/. Non sempre le violenze sono percepite tale, nemmeno da chi le subisce. C’è bisogno di formare le persone in maniera adeguata, in particolare gli uomini, perché ancora oggi in determinati contesti la donna viene percepita come una proprietà”.

La sorella di Giulia ha detto che non sono mostri, ma figli del patriarcato. Condivide questa posizione?
“Il parlare di mostri è fuorviante. Non si può pensare che tutti quelli che fanno male, siano riconoscibili. Il male fa parte di noi. E’ facile commettere reati come quello appena accaduto, se ci lascia prendere la mano. La violenza è una scelta. Questi fatti efferati sono preceduti da violenze meno visibili ed è lì che bisogna agire. Bisogna ragionare sulla prevenzione. Inasprire le pene non serve”.

Quando accadono questi eventi drammatici, si parla di formazione nelle scuole. E’ utile per prevenire queste tragedie?
“E’ necessaria, perché è mirata ad arrestare ogni forma di violenza. Però, non va fatta in modo sporadico. Deve essere un’attività continua, che coinvolga anche i professori. Questi a loro volta devono essere formati. Questo lavoro deve essere fatto quindi su più livelli, perciò servono investimenti. Fino all’anno scorso si faceva in maniera sporadica con piccoli finanziamenti. Quest’anno credo che non ci siano questi fondi. Se si vogliono cambiare le cose, servono investimenti. Se non ci sono, allora significa che queste politiche non sono importanti. Allora è inutile anche fare le giornate spot”.

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