FIRENZE – È dedicata all’intellettuale antifascista nato a Torino nel 1902 e morto a Roma nel 1975 la mostra Carlo Levi a Firenze. Un anno di vita sotterranea, promossa da Città Metropolitana di Firenze con il patrocinio di Regione Toscana, Comune di Firenze e Città di Torino, organizzata dalla Fondazione Giorgio Amendola in collaborazione con la Fondazione Carlo Levi, il centro Unesco e l’Associazione MUS.E che vedrà esposte 34 opere e disegni oltre a una riproduzione del celebre telero Lucania ’61, nelle Sale Fabiani di Palazzo Medici Riccardi dal 9 febbraio al 19 marzo 2023.

La mostra, curata dal professor Pino Mantovani su progetto della Fondazione Carlo Levi, è dedicata al soggiorno di Carlo Levi a Firenze (1941 – 1945), nel buio periodo degli anni di guerra e dell’occupazione nazista fino alla lotta di Liberazione, alla ripresa della vita pubblica democratica nella la città liberata dalla Resistenza sotto il governo autonomista.

“Nel 2022 ricorrevano i 120 anni dalla nascita di Carlo Levi, una figura importante del mondo della cultura, dell’arte e dell’antifascismo italiano – dichiara Pino Mantovani, curatore della mostra -.  Nel 2022  molte mostre sono state dedicate al pittore, scrittore, intellettuale: oltre l’evento della Fondazione Giorgio Amendola e dell’Associazione lucana Carlo Levi (dico evento perché la mostra di ritratti è stata accompagnata da una serie di incontri, che hanno coinvolto il Centro Gobetti), a Torino è stata realizzata anche una esposizione nella primavera alla GAM, un’esposizione a Lucca presso la Fondazione Ragghianti, un’Antologica al Museo d’Arte Moderna di Nuoro, altre iniziative si sono sparse per la Penisola. È molto importante che questo anno leviano si concluda raccogliendo i risultati delle nuove indagini. Insomma trova una logica e forte sintesi, così che il personaggio indagato secondo diverse prospettive, ritrova piena e convincente unità. Dove questo poteva avvenire meglio che a Firenze? Che fu carissima a Levi, e fondamentale nella sua vicenda, davvero centrale come il luogo dove arrivò a dare un senso definitivo alle straordinarie intuizioni ed esperienze della giovinezza e della prima maturità, da pittore, da scrittore, da uomo, e ad impostare il seguito: vi scrisse fra l’altro “Cristo si è fermato a Eboli”. Non a caso Carlo Ludovico Ragghianti nel 1948 pose una pietra miliare nella storia di Levi in una mostra significativamente titolata “Levi si è fermato a Firenze” Con questa mostra, simbolicamente ma anche fisicamente, Levi torna a Firenze”.

A Firenze, nell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, Levi scrive il suo primo e più noto libro, Cristo si è fermato a Eboli, nel quale rievoca volti, storie e personaggi del suo confino a Grassano e ad Aliano in Lucania: un’esperienza sconvolgente che lo portò alla scoperta di un’altra Italia, l’Italia contadina e arcaica confinata in un sud che vive fuori dai tempi della storia e che fatica a mettersi in relazione con la mitologia imperiale imposta dal fascismo.

In mostra a Palazzo Medici Riccardi le opere dipinte durante il confino ad Aliano (1935-1936, ToninoDietro GrassanoLa Strega e il bambinoLa figlia scarmigliata della Strega), antefatto sulla base del quale il romanzo ricostruirà il peso e il significato di quella esperienza che segnerà per il futuro la vita di Levi scrittore meridionalista, pittore e uomo politico.

Tutt’intorno una galleria di ritratti, la madre, le donne amate e gli amici; la compagna del tempo, Paola Levi Olivetti, amatissima e tante volte rievocata sulla tela, per la quale decise di trasferirsi a Firenze abbandonando l’ipotesi di un espatrio in America. Poi Anna Maria Ichino, la partigiana generosa che lo accolse nel rifugio di Piazza Pitti 14 e che lo amò in modo disinteressato per una breve stagione.

Chiuso in questo nuovo “confino” fiorentino, Levi ritrae e intreccia rapporti con i grandi protagonisti del mondo intellettuale antifascista che si è concentrato a Firenze: Lo scultore Alfieri, il pittore Colacicchi, i letterati Montale, Bazlen e Cancogni, lo scrittore psichiatra Mario Tobino, e Leone Ginzburg che morirà nell’estate del ‘44 per mano nazifascista. Sullo sfondo di questi anni tragici sta un mondo irredento, che il pittore evoca con un capretto scuoiato giacente su una livida spiaggia (La guerra partigiana), con i desolati paesaggi arrossati dai fuochi di guerra, con mucchi di cadaveri giacenti in un presentimento dell’Olocausto (Nudi. Il lager presentito).

Per la prima volta sono esposti in una mostra di Carlo Levi anche due dei tre quadri, provenienti da una collezione privata, da lui realizzati per il suo amico scrittore Giuseppe Brancale (Sant’Arcangelo, Pz, 1925 – Firenze, 1979) e il suo romanzo Echi nella valle (1973). Qui Levi si autoritrae con una donna anziana prima della partenza dalla Lucania in cui era stato al confino. Sullo stesso tema, ma con un titolo diverso, Levi avrebbe poi dipinto su tela L’addio dell’emigrante ora ospitato nella pinacoteca di Aliano.

Agli inizi degli anni Cinquanta Carlo Levi compie una serie di viaggi nell’Italia meridionale in cui respira il clima della passione civile, delle lotte dei contadini-operai che sono ormai consapevoli della loro misera condizione e reclamano il riscatto sociale. Nascono in pittura le opere di denuncia sociale, di esplicito indirizzo neorealista, che mostrano i corpi delle donne deformati sotto il peso della fatica, gli occhi dei bambini scavati dalla malaria, i volti degli uomini segnati dalla malattia. Una pittura che l’osservatore rifiuta per la sua “sgradevolezza” ma che allo stesso tempo diventa esperienza rendendolo testimone di ciò che sta accadendo.

Il legame che si è instaurato tra Levi e il sud anni prima si è andato ormai consolidando. Ed ecco le Contadine rivoluzionarieIl nonnola contadina calabrese, ma anche i protagonisti che hanno lottato per la giustizia, come Salvatore Carnevale, sindacalista siciliano ucciso dalla mafia, e il sociologo-attivista della non violenza Danilo Dolci.

In mostra sarà possibile ammirare anche una riproduzione del celeberrimo telero Lucania ’61, commissionato all’artista da Mario Soldati per rappresentare la Basilicata nel Padiglione della mostra delle Regioni a Torino in occasione delle celebrazioni per il Centenario dell’Unità d’Italia, conservato presso il Museo Nazionale di Matera.

L’opera riassume tutta la visione leviana della questione meridionale filtrata dalla vicenda di Rocco Scotellaro, “il poeta della libertà contadina”, a cui Levi deve la comprensione delle lotte contadine e del pensiero meridionalista. La riproduzione esposta, realizzata in scala 1:1, proviene dalla sede della Fondazione Giorgio Amendola e Associazione lucana in Piemonte, a Torino.

Sul telero è rappresentato quel sentimento di “esilio”, quello stesso sentire condiviso con i contadini lucani, che è nella memoria di Levi e lo portano ad essere ancora una volta vicino agli ultimi, al popolo di emigranti che lascia la propria casa per trasferirsi altrove. Ne sono testimonianza opere come L’addio dell’emigrante e in una visione contemporanea, L’icerberg e il naufragio e Ancora galleggiante.

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