Uomini più predisposti a sviluppare una malattia da Covid-19 molto più grave rispetto alle donne se il testosterone funziona poco. E’ quanto emerge da uno studio internazionale coordinato dall’Università di Siena, che ha coinvolto in Italia, tra gli altri centri, anche la Sapienza Università di Roma, che dimostra il legame tra Covid-19 e varianti genetiche che rendono il recettore del testosterone meno funzionante.

Lo studio, pubblicato sulla rivista EBiomedicine, del gruppo Lancet, e condotto in una casistica di più di 600 maschi infetti dal virus Sars-CoV-2, pone le basi per futuri trial clinici sull’uso del testosterone in pazienti portatori di queste varianti, spiega una nota. «Che il testosterone fosse un importante modulatore del sistema immunitario e potenzialmente implicato nell’associazione tra Covid-19 e diabete, era noto – spiega Andrea Isidori, professore ordinario di Endocrinologia dell’Università Sapienza Roma -, ma gli studi precedenti mostravano dati contrastanti». Il lavoro multicentrico, coordinato dalla professoressa Francesca Mari dell’Università di Siena, spiega che è la funzionalità del recettore androgenico, legata alle sue varianti genetiche, la nuova chiave di lettura per comprendere queste discrepanze e l’evoluzione clinica dell’infezione nel maschio.

Articolo precedenteOss, infermieri e istruttori. Cisl FP organizza lezioni di preparazione ai concorsi
Articolo successivoFuturo Mps. I sindacati: «Nuovo Governo? Nessuna chiarezza sul futuro della banca»