Sono un “visitatore inconsapevole” di siti Unesco.

Nel senso che vado a vedere luoghi, monumenti ed aree archeologiche che mi interessano, senza sapere che sono iscritti alla lista del patrimonio dell’umanità. Talvolta lo scopro quando arrivo sul posto, perché c’è un cartello – spesso seminascosto, spesso in cattive condizioni di manutenzione – in cui c’è il logo Unesco ed una dicitura in qualche lingua. Ma molto spesso lo scopro mesi oppure anni dopo, spesso per caso, guardando la tv, leggendo una guida o una rivista, oppure curiosando su Facebook e su internet.

Mai – dall’Italia alla Francia, dalla Spagna al Marocco, dagli Stati Uniti alla Grecia, dalla Turchia alla Germania – ho percepito, sul posto, la sensazione di essere in un luogo particolare, diverso, così speciale da essere inserito appunto nel patrimonio dell’umanità.

Ho trovato situazioni di conservazione dei beni, di cartellonistica turistica, di materiale informativo molto diverse fra loro, con punte di eccellenza e situazioni al limite della vergogna, se non addirittura da denuncia immediata. Però mai, lo ripeto, ho avuto questa sensazione a pelle di essere non solo in un luogo bello ed importante, ma addirittura degno di una classificazione così speciale.

Nel momento in cui, non so sinceramente per quale motivo, si è riacceso in Italia un faro sui nostri 54 siti Unesco (record mondiale, uno in più della Cina) – tanto che la Rai ha realizzato e trasmette a nastro delle puntate speciali su ognuno di questi – mi fa piacere suggerire quali elementi mi piacerebbe trovare quando visiterò, inconsapevolmente come sempre, un luogo di questo genere.

Punto 1, conoscere quale è stata la motivazione con cui l’Unesco ha deciso di inserire quel luogo o monumento nella propria lista, in modo da comprenderne meglio l’importanza storica, sociale, economica e culturale. Le sorprese non sarebbero poche: non è raro, infatti, che un luogo sia conosciuto dal grande pubblico per un motivo, ma il riconoscimento Unesco sia stato assegnato per ragioni molto diverse, o comunque più ampie ed interessanti di quanto di possa pensare. Un esempio? Salisburgo, in Austria, è per tutti noi la città di Mozart e della musica, ma è sito Unesco perché esempio unico di città-stato ecclesiastica, irripetibile punto di incrocio di cultura, arte e architettura italiane e tedesche. E capite che così si apre tutta un’altra prospettiva.

Punto 2, trovare forme avanzate di divulgazione e di condivisione del significato che quel patrimonio assume, con esperienze particolari da un punto di vista di visite guidate speciali, laboratori, coinvolgimento in giochi o in realtà aumentata.

Punto 3, la massima accessibilità per tutti, nel senso di percorsi – compatibili con le caratteristiche – che siano aperti a chiunque, anche se afflitto da una qualche forma di disabilità, permanente o temporanea.

Punto 4 – ed è l’aspetto su cui da anni proprio l’Unesco insiste con maggiore forza – questi siti dovrebbero essere luoghi privilegiati di turismo sostenibile e di contatto positivo fra turisti e residenti, con la condivisione di percorsi di ricerca, di educazione, di conoscenza, di buona economia generata dall’arrivo di persone da fuori.

Sarebbero quattro cose in cui spendere, veramente bene, una bella cifra di soldi.

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