VOLTERRA – E’ l’opera iconica del riscatto, un Cavallo di Troia che irrompe come centro di gravità di una rivoluzione germogliata negli anni ’70 nell’ospedale psichiatrico di Trieste, un suggello di storia d’Italia che ha fatto il giro del mondo e che ora è pronto a planare nel cuore di Volterra (Pisa), il prossimo 30 novembre in occasione della Festa della Toscana.

Parliamo di ‘Marco Cavallo’, installazione artistica uscita dalle fucine rivoluzionarie degli anni ’70 dell’ospedale psichiatrico di Trieste guidato da Franco Basaglia, il padre della legge che ha abolito i manicomi in Italia. Un’opera d’arte a forgia di cavallo di colore azzurro alta quattro metri, nata nei padiglioni manicomiali di Trieste quasi 50 anni fa come incubatore di speranze e sogni dei pazienti psichiatrici: ha fatto il giro del mondo, Marco Cavallo, e ora sarà emblema degli eventi che chiudono l’anno di Volterra Prima Città Toscana della Cultura, che ha incentrato l’azione culturale sulla rigenerazione umana partendo dalla storia dell’ex manicomio cittadino e dalle esperienze di rinascita nate all’interno dei progetti dell’istituto penitenziario.

Sarà occasione per celebrare la Festa della Toscana 2022 e rappresentare il tema della “rigenerazione umana” di Volterra22 Prima Città Toscana della Cultura, rinnovando quanto accadde nella festa del 25 febbraio 1973, quando Franco Basaglia distrusse con una panchina di ghisa il muro di cinta dell’Ospedale psichiatrico triestino di cui era Direttore e nella quale si celebravano libertà e diritti civili. L’opera fu realizzata nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste da un’idea di Giuseppe Dell’Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. I lavori veri e propri erano cominciati già un anno prima, quando, dopo aver aperto le porte a Gorizia, Franco Basaglia era approdato a Trieste. All’interno della struttura, infatti, si svolgevano diversi laboratori e, proprio dall’incontro tra le nuove attività e la voglia di fare insieme, nacque l’idea di questo progetto.

Il promotore però, non fu Franco, ma Vittorio Basaglia – cugino del noto psichiatra e docente all’Accademia di Belle Arti di Urbino – che non solo promosse l’idea, ma si prestò a lavorare insieme alle persone internate, tutti i giorni, intensamente, dalla mattina alla sera per un anno, dedicandovi anima e corpo. L’azzurro cavallo non nacque come una semplice intuizione, ma fu molto più ragionata. Era infatti un po’ di tempo che, all’interno delle riunioni e degli incontri tra utenti e operatori, si discuteva di creare qualcosa di manuale da costruire insieme. A queste assemblee partecipò anche Vittorio Basaglia e tutti insieme arrivarono a pensare che, anni prima, proprio in quel manicomio, aveva vissuto realmente un cavallo molto amato, il quale fu salvato dal macello proprio dagli utenti dell’epoca. Questo cavallo si chiamava Marco, il nome fu dato proprio dagli stessi pazienti. Il suo ruolo era quello di trainare il carretto della lavanderia, con i rifiuti e i materiali di scarto del manicomio. Fino a quando, nel 1959, il cavallo era divenuto ormai anziano e non riusciva più a reggere tanta fatica. Doveva quindi essere abbattuto, perché non più utile. Ma i pazienti non accettarono che al povero animale toccasse una sorte così nefasta e riuscirono a giungere a un compromesso: questo consisteva nel far sì che l’ospedale si prendesse cura dell’animale, versando una somma pari a quella corrispondente alla vendita del cavallo.Per ricordare questo fatto, nel 1973, l’impresa fu finalmente compiuta e, simbolicamente, all’interno della pancia di Marco Cavallo, un prorompente equino alto ben quattro metri, furono inseriti tutti i sogni e i desideri di chi era ospite dell’ospedale. Quando, qualche anno dopo, Basaglia riuscì a far approvare una delle leggi più rivoluzionarie della storia, la legge 180, si decise che il cavallo dovesse diventare il simbolo della libertà, e il destino volle che le cose andassero davvero così. Questa scultura, infatti, era troppo grande per passare dai muri del manicomio e, quando si organizzò una grande festa per far conoscere al mondo questa meravigliosa creatura, ci si accorse che non riusciva a superare la porta.

Per questo, si decise che l’unica possibilità doveva essere quella di rompere i muri e far diventare questo gesto qualcosa di simbolico, qualcosa che fosse una concreta rappresentazione della libertà e dei diritti di tutte le persone con disagio mentale: l’abbattimento delle barriere e della chiusura. E fu così che Marco Cavallo diventò, nella storia della psichiatria e nei cuori di tutti, il simbolo della libertà.

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