felice anno vecchio“Felice anno vecchio” era il titolo dell’ultimo numero del 2016 de l’Espresso, mentre il sottotitolo recitava “Dalla politica all’economia, il nuovo ci ha traditi. Così l’Italia e il mondo entrano nel  2017 guardando al passato. E lo spirito del tempo è fatto di nostalgia, retromarce, restaurazioni”. Il settimanale si riferiva all’Italia, ma a leggere le cronache di questi primi giorni dell’anno viene in mente Siena, dove l’almanacco politico del nuovo anno sembra, volutamente, scritto sulla falsariga del vecchio.

Nella intervista al Corriere di Siena Bruno Valentini, rivendicando i successi della sua amministrazione, annuncia che “il groviglio è finito” e Siena è “finalmente libera”. Parole e giudizi francamente opinabili, ma non soffermiamoci. La parte interessante è quando torna nuovamente a dichiarare la sua disponibilità a ricandidarsi nel 2018. «Voglio capire qual è il giudizio sul mio operato, più della città che della politica», dice. Tradotto significa che potrebbe candidarsi anche senza il consenso del Partito Democratico. Valentini minaccia il concetto qualche domanda dopo. «Attualmente essere il sindaco del Pd non è un vantaggio – dice -. Quindi, c’è da fare una riflessione attenta. Io ho vinto le elezioni perché ero percepito come persona con una storia diversa da quella del partito».  Del resto, argomenta, «il partito non ha niente da nascondere, ma molto da farsi perdonare».

Ma nel 2018 potrà veramente proporsi come homo novus, così come nel 2013? All’epoca si pose sulla scia del renzismo galoppante, usando come parole d’ordine come discontinuità, merito e verità su Mps. Ma tra un anno cosa si inventerà per far percepire ai senesi di essere diverso dagli altri? Allora il guanto di sfida era gettato contro Franco Ceccuzzi, percepito come simbolo di quella politica vecchia che aveva portato Siena nei guai. Ma nel 2018 contro chi si ergerà paladino, l’uomo nuovo Valentini?

Il mistero è svelato sempre nell’intervista qualche riga dopo. Il sindaco sceglie Pierluigi Piccini quale sfidante di un dibattito per parlare «di contenuti», gettando così di diritto nella mischia dei potenziali candidati a sindaco proprio l’ex sindaco. Che forse non aspettava altro e nel breve giro di qualche ora, si dichiara disponibile. Bene. Peccato che il tutto sappia di stantio, antico e retrò. Come certi luoghi della memoria che, in tempi di scarsa speranza per il futuro, appaiono rifugi confortanti. “Com’era bello il mondo quando eravamo giovani”, “che aspettative avevamo” e “che bella era la città allora”.

Veramente con la crisi d’identità che sta vivendo la città anziché affidarci al futuro, andando a cercare e sollecitare nuove e fresche energie vorremmo fare affidamento alla nostalgia e alle restaurazioni? E del resto cosa potrebbe nascere da questo confronto pubblico? Più che uno sguardo sul futuro una discussione sul passato. Magari su chi, negli anni ’80, fu a presentare per primo il sindacalista Mps Piccini ai capibastone del Pci di Siena, Sergio Bindi, e al funzionario di partito, Fabrizio Vigni. Interessa, davvero, sul piano politico ricostruire quella storia di come nascevano e si sviluppavano certe carriere all’ombra della falce e martello e sotto le insegne del principale sindacato dei bancari? Quella Fisac-Cgil così potente che, per decenni, ha rappresentato la cinghia di trasmissione tra la politica senese e l’ascensore delle carriere dentro il Monte dei Paschi, e anche fuori. Tanto che, ininterrottamente, dalla metà degli anni ’80, è riuscita a far eleggere un suo iscritto come primo cittadino di Siena. Il primo fu Vittorio Mazzoni della Stella, seguito da Pierluigi Piccini, Maurizio Cenni e, dopo la rapida parentesi Ceccuzzi, appunto, Bruno Valentini.

E se è vero quella di Mazzoni della Stella fu una novità politica per “rompere il blocco conservatore” cittadino così come quella di Piccini, maturata all’interno del Consiglio Comunale dopo le dimissioni dello stesso Mazzoni per andare in Rocca Salimbeni, quella di Cenni fu prova di forza del partito e sindacato per imporlo in Palazzo Pubblico (primarie vinte contro Anna Carli), mentre quella di Valentini ne fu l’ultimo colpo di coda.

Tuttavia è anche vero che per trent’anni la Città, con tutte le sue ramificazioni di organismi e istituzioni connesse, soprattutto la Banca, ha avuto un sindaco che aveva un unico datore di lavoro, la Banca, una identica tessera di sindacato, la Fisac Cgil. Mentre la tessera di partito è stata diversa per Mazzoni (Psi) rispetto agli altri, comunque tutti provenienti dalle fila Pci-Pds-Ds-Pd. Possiamo derubricare al caso questa coincidenza? In quale città è mai accaduta una cosa simile? Forse a Torino i sindaci negli ultimi trent’anni sono stati dipendenti e sindacalisti della Fiat? E non sarà che anche questa ininterrotta catena potrebbe avere contribuito a compromettere quei pesi e contrappesi necessari per assicurare a Siena il buon governo di un sistema complesso quale i rapporti tra Comune, Banca e Fondazione, ma anche sistema produttivo e sociale?

Oggi, che le cronache parlano di una crisi profonda di Mps, con il rischio di vedere per sempre scisso il rapporto con la città, con una banca che ha bruciato 27 miliardi di euro in prestiti allegri, dopo che quello stesso sindacato salutò come uno di loro l’addio da direttore generale di Antonio Vigni, i senesi dovrebbero continuare ad assistere ad un duello con due uomini che, fatalmente, appartengono a quella storia, a quella visione delle cose e della società?

Siena ha bisogno, come spesso ripete anche Piccini, di tagliare i ponti con un certo mondo (“spezzare il blocco di potere e liberare energie nuove”), dare spazio a blocchi sociali finora non sufficientemente rappresentati, superando quella rendita (Piccini la chiama “borghesia parassitaria”) che oggi vive nella bambagia dei privilegi e delle garanzie. E non sono forse anche Valentini e Piccini rapprestanti di questo mondo?

Il tempo futuro vuole che a parlare, da oggi, sia il mondo della cultura (se c’è), della ricerca (se c’è), dell’imprenditoria (se c’è), della libera professione (se ne ha la forza). Non è più accettabile la sfida tra ex bancari e ex sindacalisti, quando quel mondo oramai non c’è più. Per questo diventa urgente che queste energie al più presto si mostrino alla città, aiutate magari da quel lento lavorìo che, mi si dice, starebbero portando avanti certe istanze civiche. E magari registrate anche dai giornali che sembrano distratti su questo punto.

Piccini, potrò sbagliarmi, ne è consapevole ma non vuole rinunciare al ruolo di attento e capace osservatore, in nome di una sorta di scippo che ritiene di aver subìto nel 2001. Ma a Valentini (forse autosuggestionato di essere homo novus in eterno) chi glielo dice che continuando con lui si entrerebbe solo nell’«anno vecchio» e la città ingranerebbe la retromarcia verso un mondo che non c’è più?

Ah, s’io fosse fuoco

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