primarie-pd-586x319Liste bloccate, preferenze, primarie… C’è un po’ di confusione sotto il cielo del PD, o forse la confusione è solo apparente. La nuova frontiera del Partito Democratico sembrano diventate le preferenze, rimesse in gioco dal Segretario Renzi per l’Italicum, reintrodotte parzialmente dal Segretario Regionale Parrini nella legge elettorale toscana, il cosiddetto Toscanellum. E in Toscana facendo coincidere la cosa con l’abolizione dell’obbligatorietà delle primarie. Già, perché la confusione sembra stia sempre più nel credere, o nello “spacciare” a seconda dei punti di vista dell’osservatore, che le primarie servano solo se poi la relativa legge elettorale prevede liste bloccate o magari collegi uninominali. Questi ultimi sono roba di cui fino al giorno in cui Berlusconi sarà iscritto all’anagrafe sembra non si possa vedere traccia nella legge elettorale nazionale. Alla faccia dello spirito dei referendum del 1993 e di quelle posizioni politiche tramandatesi dal PDS ai DS e poi al PD, che l’avvento del Patto del Nazareno ha cancellato con le sue liste bloccate corte o anche dette, badate bene, collegi plurinominali, una specie di definizione alla “supercalifragilistichespiralidoso” che basta dirlo forte e avrai un successo strepitoso, ma sempre di liste bloccate si tratta. Tralasciamo in questa sede, guardando alla Toscana, che la legge elettorale i listini bloccati li prevede eccome e che magari in quei listini ci possano finire anche futuri senatori. Passiamo oltre, almeno qui.

Il tutto, dicevo, non vedendo (o “facendo finta di non vedere”, come sopra) che le preferenze sono un metodo di selezione degli eletti e le primarie un metodo di selezione dei candidati. Intersecare o addirittura sovrapporre le due dimensioni è come mischiare le pere con le mele. E non ricordando che la logica delle primarie sta proprio nel sottrarre agli organismi del partito, o come direbbe qualcuno più demagogo di me “alle segrete stanze della nomenclatura”, la scelta dei candidati, siano poi essi inseriti dentro una lista bloccata, sottoposti a preferenza o al gioco del “chi butto giù dalla torre” del collegio uninominale. Anzi, la distorsione paradossalmente non si produce quando alle primarie si affiancano preferenze, o tantomeno collegi uninominali, bensi quando le elezioni si svolgono con liste bloccate, perché in quel caso le primarie di fatto da momento di selezione dei candidati assurgono a momento di selezione degli eletti.

Detto in soldoni le primarie rappresentano la possibilità per tentare di giocarsela anche da parte di coloro che non rientrano nelle grazie dei dirigenti, o che, detto più nobilmente, non scaturiscono dal gioco degli equilibri interni del partito. Ma che magari hanno un consenso diffuso nell’elettorato. Consenso che, prima verificato attraverso la raccolta delle firme e poi nel voto delle primarie, possa legittimare la candidatura alle elezioni. Qualcuno, ma io non lo faccio perché non voglio risultare antipatico, si avventurerebbe in terminologie da scienza politica affermando che sono uno strumento per garantire una più efficace “circolazione delle elites” all’interno del partito, o comunque una maggiore accessibilità alla classe politica governante. Una trasposizione di quell’ascensore sociale che Veltroni soleva citare come un mantra dell’innovazione, e che qui potremmo chiamare “ascensore politico”.

Dunque facile comprendere come le preferenze da sole, per carità benvenute rispetto alle incostituzionali liste bloccate, tutto questo non lo facciano, perché se è vero che gli elettori possono scegliere tra una rosa di candidati, la rosa di candidati è pur sempre decisa dagli organismi del partito.

Dunque, come dicevamo all’inizio, solo un abbaglio, un po’ di confusione, oppure qualcosa in più?

Certo, dopo che per anni le primarie hanno rappresentato la testa d’ariete per conquistare il PD da parte della nuova classe dirigente uscita vincente all’ultimo congresso, ma oserei dire una sorta di fondamento etico del partito disegnato da Veltroni nel nuovo statuto, vedere che si comincia a metterle in discussione fa un po’ pensare. Il fatto che occorra rivederne i meccanismi, soprattutto nel caso delle elezioni comunali nelle piccole realtà, è necessità ormai credo assodata e condivisa da tutti. Anzi più la comunità è piccola e più le primarie fanno solo danno. Ma i piccoli Comuni sono una cosa, la Regione e il Parlamento un’altra. E qui stiamo parlando appunto d’altro, stiamo parlando della sensazione che una volta conquistato il castello il ponte levatoio venga ritirato su, e si cominci a gettare olio bollente su chi voglia tentare di scalare le mura.

Oppure di un calcolo più sottile. Con Renzi segretario e Presidente del Consiglio e dunque con minore margine d’azione per sostenere i candidati a lui vicini nelle elezioni primarie; con più in generale un “effetto Renzi”  sulle primarie per forza di cose destinato a calare fisiologicamente nel tempo, perlomeno calare rispetto all’apice della curva del consenso che ha condotto al “non ce ne è per nessuno e con ampio margine” delle precedenti primarie; ecco, chissà che con questi elementi in campo d’ora in poi non risulti molto più utile alla maggioranza PD riservarsi la scelta della rosa dei candidati – da trattare con le altre aree del partito ma da una posizione di forza – e poi giocarsi le elezioni in campo aperto con le preferenze. Nella consapevolezza che statisticamente più la platea dei votanti è ampia e meno politicizzata, e quella delle preferenze ha queste caratteristiche rispetto a quella delle primarie, e più i candidati riconducibili a Renzi ottengono buoni risultati.

Vedremo se nuova frontiera sarà… Anzi forse meglio parlarne prima che lo diventi, altrimenti, come spesso accade, finiremo per ritrovarci tutti schierati lungo la linea di un nuovo confine, senza nemmeno aver capito come saremo arrivati fin lì.

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