bennettLa penna è la stessa, quella che mi è ha già fatto compagnia in altri deliziosi libriccini, tipo “Nudi e crudi”, “Signore e signori” o “La sovrana lettrice”: la penna elegante, leggera, sempre accattivante di Alan Bennett, uno di quegli scrittori che possono essere nati solo in Inghilterra, provate a immaginarveli da  qualsiasi altra parte.

Questa volta, a dire il vero, più che la pagina scritta bisognerebbe andare dietro alla sua voce, in un testo che è nato come una conferenza: e questo mi piace ancora di più, perché penso al contesto, quello di una conferenza dotta, in un ambiente molto rispettabile come quello della National Gallery di Londra, con un argomento decisamente molto serio, quale quello del rapporto tra uno scrittore e la pittura. Ci penso e poi incontro il solito Bennett, che serio proprio non riesce a essere e che pure proprio così ci dice cose piuttosto importanti. Allo stesso modo di Nick Hornby, quando si dà alle recensioni di libri.

E insomma, Una visita guidata (Adelphi) è proprio un gioiellino. Poche pagine e una valanga di sensazioni che ogni pagina sprigiona. Soprattutto per una persona come il sottoscritto che non si stancherebbe mai di andare alle mostre, solo che quasi mai soffre della sindrome di Stendhal, anzi.

Ed ecco Bennett, che si confessa candidamente:

La mia incapacità di reagire emotivamente ai dipinti era simile alla mia incapacità di provare sentimenti per Dio.

Che cita Nathaniel Hawthorne e la spossatezza che prova nei grandi musei. Che auspica che alla National Gallery piazzino in bella vista cartelli con scritto: “Non deve per forza piacerti tutto”.

Ed è come il professore che ti asseconda facendoti leggere Dylan Dog piuttosto che “Guerra e Pace”. Facendo in modo che il tuo cammino sia più leggero. E facendo di te il più formidabile lettore proprio di Guerra e Pace.

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