SIENA – L’idea di questa mostra-retrospettiva è venuta, a mia insaputa, a Enrico Falaschi, direttore artistico del Teatro degli Astrusi di Montalcino.

Con la sua casa editrice, ‘Titivillus’, abbiamo pubblicato diversi volumi. Conosceva bene il mio lavoro e, dopo non pochi anni di produzioni teatrali e cinematografiche con l’epicentro nel territorio senese, ha ritenuto giusto che mi fosse dedicata una manifestazione».

Marco Filiberti, attore, autore, regista teatrale e cinematografico, apprezzato nel vasto scenario, racconta ‘Alle Sorgenti della Bellezza’, la mostra, al Teatro degli Astrusi di Montalcino, fino al 23 marzo, dedicata alla sua esperienza artistica: per una simbiosi difficile da separare, riflette anche il suo cammino di vita. Un interessante percorso di fotografie, manifesti, documenti audiovisivi, scenografie, studi preparatori e costumi, che rivelano il suo lavoro. Il Teatro degli Astrusi offre il giusto scenario. Marco Filiberti ha eletto il territorio circostante a sua dimora; Montalcino e il suo paesaggio a set ideali per alcuni episodi del suo capolavoro: l’opera cinematografica ‘Parsifal’.
Un programma ricco di eventi ha accompagnato l’inaugurazione della mostra. L’incontro con Filiberti, Giovanni Bogani, giornalista e critico cinematografico, Enrico Falaschi direttore artistico del Teatrino dei Fondi e dei Teatri di Montalcino, è stata l’occasione per approfondire alcuni aspetti dei lavori cinematografico e teatrale di Filiberti. Si è parlato del suo rapporto con il paesaggio e i set montalcinesi presenti nel suo ‘Parsifal’ (2021), produzione Dedalus, tra i diciotto film italiani selezionati per gli Academy Awards, e vincitrice nei festival in cui è apparsa, come il 39° Flickers’ Rhode Island Film. Nel programma, il film documentario ‘Precedo l’aurora – Il Parsifal di Marco Filiberti’ (2023) di Dario Pichini e Federico Livi. Ed ancora, al Teatro degli Astrusi, la proiezione di ‘Parsifal’, «un’opera unica nel panorama internazionale che mostra fin dove ancora possa spingersi l’arte cinematografica».

(Taxidrivers). Un viaggio iniziatico sul grande schermo che conduce al cuore misterioso delle nostre esistenze, dove spiritualità e desiderio si
approssimano quasi fino a fondersi.

‘Alle Sorgenti della Bellezza’, un titolo ambizioso: quali ‘sorgenti’ e ‘bellezza’?
«Il titolo è nato un po’ da sé – continua Filiberti -, prendendo spunto da un intervento critico che una prestigiosa rivista d’arte americana, ‘Artforum’, mi aveva dedicato, affermando che io ‘ero risalito alle sorgenti della bellezza’. D’altronde, la questione degli archetipi originari e di una specifica ricerca formale è al centro da sempre di tutto il mio lavoro. Testimonia una sofferta risalita alle fonti primarie del nostro essere e non alle manipolazioni ideologiche che si sono susseguite. In breve, è una ricerca dell’archè spalmata sul piano ontologico, spirituale, filosofico. La bellezza è quella platonicamente intesa, come espressione visibile di un contenuto valoriale teso al risveglio, alla consapevolezza: esattamente all’opposto di come è intesa oggi nella società dei consumi, anche nel mondo dell’arte».

Protagonista è, comunque, il suo ‘Parsifal’ cinematografico. Per lei, cosa ha voluto dire?
«’Parsifal’ è stata forse la summa, almeno sino ad ora, di tutta la mia ricerca esistenziale e artistica che, per me, coincidono. È un punto di non ritorno: mi ha dato una nuova visione, ha fratturato la mia vita, mi ha aperto ad un piano esperienziale infinitamente più dilatato. E, devo anche dire, dal punto di vista della percezione della mia persona come artista, ha posto l’attenzione sul mio lavoro con una specificità e una qualità critica impensabile».

Perché a Montalcino? Il progetto sarà itinerante?
«Questa mostra, come ho detto, è stata voluta da Enrico Falaschi, direttore artistico a Montalcino. Avrebbe certamente potuto accadere altrove, ma evidentemente qualcuno ci ha pensato prima degli altri. Il progetto girerà senz’altro, non solo in Italia. Ho ricevuto una bellissima proposta dagli Stati Uniti, ma non posso essere io a parlarne».

Fra il set e la mostra, c’è stata la trasposizione teatrale del romanzo ‘À la Recherche du Temps perdu’ di Marcel Proust.  Rivela ancora la sua sensibilità verso progetti complessi, protagonisti tormentati. Una sorta del suo DNA artistico?
«Direi proprio di sì. La ‘complessità’ non solo non mi spaventa ma, anzi, ospita molto meglio la mia idea di Opera-Mondo: lavori che testimoniano una riflessione totale sulla vicenda umana e sul crollo antropologico che stiamo vivendo. Non nego di ritenere impensabile che, per il collasso totale nel quale siamo immersi fino al collo, un artista oggi non si ponga la questione in termini dilatati, Questo sì lo trovo veramente un suo gesto ‘politico’. In quanto alla Recherche proustiana, è da sempre uno dei miei testi-guida: non ci si può improvvisare su un materiale letterario di simile portata. Fin dagli anni universitari, avevo una precisa idea sulla potenziale ‘rappresentabilità’ di questo particolarissimo romanzo: l’istanza mi è riapparsa prepotentemente dopo ‘Parsifal’».

I prossimi progetti di Marco Filiberti?
«Certamente la declinazione del progetto ‘Recherche’, che occupa non poco spazio. È iniziato con alcuni ‘Cahiers d’Ecriture’: hanno debuttato l’anno scorso, saranno ripresi e ampliati. Proseguirà con la costruzione dello spettacolo vero e proprio. L’iniziativa è in fase di ricerca di forze produttive adeguate a sostenerla. È in fase di costruzione produttiva, il nuovo film: una vicenda ambientata negli anni ’70 tra Milano e Parigi. Infine, il mio primo romanzo, che, ormai non troppo distante dalla conclusione, mi obbligherà a fermarmi per un momento. Ma fondamentalmente guardo al mio percorso in modo unitario: la spinta è sempre la stessa, cambia solo la declinazione dei diversi progetti».

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