“La diagnosi della morte di mio padre, Alfio Civitelli, è stata “encefalopatia spongiforme”, ma non fa nemmeno parte della casistica nazionale riguardante questa terribile malattia perché non gli è mai strato fatto un esame autoptico”. A parlare è Gino Civitelli, figlio di Alfio che 16 anni fa è morto all’ospedale di Montalcino a causa di quella che oggi è chiamata “mucca pazza”, la variante umana della malattia neurodegenerativa che colpisce i bovini.


La vicenda – “Mio padre era un contadino che nel 1960 abbandonò l’attività per fare l’operaio in un’azienda che produceva mangimi – spiega Civitelli -. Mangimi che, perfettamente leciti sotto il profilo sanitario, erano ottenuti dalla mescolanza tra farine vegetali e animali. Quelle animali erano ottenute tritando bovini e capre secche provenienti dall’Inghilterra. Alla fine della lavorazione queste farine costituivano l’alimentazione di moltissimi animali del territorio. E io penso che l’inalazione di queste polveri sia stata alla base della malattia di mio padre. Quando mio padre si ammalò non esisteva una differenza tra la variante bovina e la variante umana della malattia – continua Gino -. I medici mi spiegarono che la Malattia di Creutzfeldt-Jakob (la variante umana della encefalopatia spongiforme bovina) colpiva naturalmente 1-2 persone su un milione e che era conosciuta fino dal 1920-21, ma pochi erano i casi che si erano verificati. A mio padre la malattia fu diagnosticata 3 giorni dopo il ricovero e, quando è morto, i medici mi dissero che il decesso era dovuto a questa malattia. Ma solo l’esame autoptico (che su mio padre non è mai stato fatto) può dare una diagnosi precisa”.


Come mai torna a parlare di questo triste caso 16 anni dopo?
“Non ho mai cercato pubblicità – spiega –, non serbo rancore nei confronti di nessuno e non voglio fare allarmismo. Anzi. Sono il primo a dire alle persone di restare tranquilli e di mangiare la carne bovina. Quello che più mi sta a cuore è la rigidità e la serietà nei controlli, sulla qualità del cibo che mangiamo. Un tempo l’uomo era ciò che mangiava, oggi è ciò che gli fanno mangiare e bere. Prodotti su cui l’uomo ha perso ogni controllo, sia sulla loro naturalità, sia sui processi produttivi”.


Secondo lei tra i colleghi di suo padre si possono essere verificati altri casi simili?
“Tra i colleghi di mio padre si sono verificati dei decessi con sintomi simili, ma trattandosi di persone molto più anziane le loro malattie sono state classificate come demenze senili e non sono mai stati fatti esami autoptici. So per certo che almeno tre colleghi sono morti con sintomi simili a quelli di mio padre”.


Quanto l’ha impressionata il clamore suscitato attorno alla “mucca pazza” e al blocco delle importazioni della carne bovina agli inizi del Duemila?
“Poco o per niente. Più che altro ho nutrito molti dubbi sul fatto che il blocco delle importazioni di carne fosse efficace. Le farine prodotte con i metodi di cui parlavo non sono state bloccate, hanno continuato ad andare in giro per l’Italia e non so con quali effetti sulle persone. Nel 1995, quando ancora non si sapeva molto di questa malattia, sono stato sospeso dal lavoro perché non si conosceva il grado di trasmissione. E quando sono rientrato al mio posto ho continuato a fare controlli. Oggi, a 16 anni di distanza, le analisi continuano a dare esito negativo, ma per me questo non vuol dire niente”.


Elisa Manieri/Sdan – Siena

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