I Comuni senesi davanti ad un bivio. E a chiedere di scegliere con fermezza la strada da intraprendere sono i ristoratori. «Le sagre che valorizzano territorio e tradizioni vanno salvaguardate, tutte le altre no. Le istituzioni abbiano il coraggio di scegliere, o si troveranno a dover dare risposte a chi finora lavorava nei ristoranti, e domani non ci lavorerà più». E’ l’appello rivolto da Gaetano De Martino, presidente dei ristoratori Fiepet di Siena e provincia, all’indomani della presentazione a Roma del rapporto 2012 su Sagre e manifestazioni gastronomiche di piazza: un fenomeno da quasi 18mila eventi all’anno su scala nazionale, 1500 in Toscana, la gran parte delle quali concentrate nel periodo estivo.

Il rapporto Fiepet ha stimato in poco meno di 35 milioni di euro il volume di affari annuo delle sagre toscane, un valore inferiore solo a quello di Lombardia ed Emilia Romagna. Due anni fa, una precedente ricognizione di Confesercenti ne aveva contate in provincia di Siena quasi 200.  Da Roma è stato rilanciato anche un appello per la salvaguardia della salute dei consumatori: non sono rari i casi di manifestazioni in cui centinaia di commensali sono serviti da un solo bagno chimico, o dove i pasti vengono preparati in cucine “da campo” rizzate su sterro o ghiaia. Adesso, oltre agli sviluppi del confronto avviato con Pro Loco e Slow food su scala nazionale, c’è attesa per quanto disporrà la Regione Toscana nella prossima revisione del Codice del commercio.

Distinguere le iniziative «La proliferazione sempre più selvaggia  crea un danno crescente – osserva De Martino – non solo per i ristoratori ma anche per chi promuove iniziative realmente legate alla tradizione ed alle tipicità di un territorio. E’ necessario distinguere da queste iniziative le altre, che puntano a fare cassa, a dispetto di un’apparenza il cui unico scopo è quello di sfuggire alle normative che i pubblici esercizi sono tenuti ad osservare. I Comuni che le autorizzano devono prendersi le loro responsabilità, e dimostrare se preferiscono tutelare l’occupazione di chi lavora in questo settore, o invece farsi belli agli occhi di soggetti che normalmente fanno tutt’altro. Nella ristorazione gli impieghi a chiamata stanno sostituendo sempre più quelli stagionali; se continuiamo così spariranno anche quelli».

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