bancaetruriaNon deve essere bello in questo momento avere azioni  e obbligazioni della Popolare dell’Etruria: al danno subìto si aggiungono le voci e le inchieste che descrivono puntualmente la beffa. È di ieri la puntuale ricostruzione di Fabio Pavesi su Il Sole 24 Ore a proposito del destino degli azionisti e degli obbligazionisti dell’istituto aretino. L’articolista è diretto: nell’impossibilità di “rifilare” agli scaltri  investitori istituzionali i bond senza mercato, la popolare aretina si sarebbe rivolta «alla platea dei piccoli investitori retail, spesso clienti, mutuatari della banca cui offri a piene mani le tue obbligazioni. La banca lo dice esplicitamente nella relazione di bilancio. Oltre la metà delle obbligazioni dell’Etruria sono state disintermediate: dagli istituzionali alla clientela piccola. E così agli sportelli si vendevano a piene mani bond Etruria. Spesso con cedole ricche per ingolosire i piccoli clienti. Che hanno puntualmente sottoscritto. Peccato che la gran parte di loro, a digiuno di competenze finanziarie, non leggesse il poderoso prospetto informativo allegato alle emissioni. Pagine e pagine di termini tecnici. Ma bastava andare a pagina 3 di una delle ultime emissioni del dicembre 2013 per leggere che Banca Etruria era in forte difficoltà. L’avvertenza di pagina 3, a caratteri cubitali, diceva che l’Etruria aveva crediti malati al 31% del portafoglio, esattamente il doppio della media del sistema bancario italiano. Più chiaro di così! Peccato che il piccolo socio, il pensionato, il cliente normale non legga il prospetto e gli sportellisti non sono certo tenuti a dire che c’è un forte rischio a sottoscrivere quell’obbligazione».

Trapelano altre allarmanti news  Innanzitutto la perdita di 400 milioni che sarebbe emersa dal fatale preconsuntivo dell’11 febbraio (interrotto dall’arrivo dei funzionari della Banca d’Italia che annunciavano il commissariamento immediato). Da lì, il fuoco di fila anche sulla nuova governance, quella che vede al vertice Lorenzo Rosi e alla vicepresidenza Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi. Rosi, presidente dal  2014, ha cariche in banca sin dal 2008, Boschi è nel cda dal 2011 e Berni è stato il direttore generale dell’istituto dal 2005 al 2008. Insomma, non sono le vittime sacrificali dell’ultimo giro come qualche buonista ad oltranza continua ad affermare. I nodi legati al commissariamento sono tanti, qualcuno potrebbe essere fatale: le retribuzioni per consiglieri e sindaci assolutamente sproporzionate alla situazione reale dell’istituto, gli “affari” che spesso e malauguratamente si sono rivelati dei bidoni, i crac locali che hanno impinguato di spazzatura il portafogli dei crediti. E, non ultima, la vicenda dell’OPA della Popolare di Vicenza che non fu nemmeno sottoposta all’assemblea dei soci. Lì i politici vollero dire la loro e si improvvisarono anche banchieri, a partire dall’ex sindaco Giuseppe Fanfani. Un no secco e risentito alle profferte della banca di Vicenza che certamente dovevano essere approfondite ma che erano pur chiare e forse sottovalutate: Opa a 1 euro, contro Etruria a 0,75 euro.  Per non parlare delle complesse operazioni di acquisizioni e di conferimenti immobiliari che gravitano attorno al consorzio Palazzo della Fonte e che sono in mano alla procura di Arezzo. La ciliegina sulla torta? Ma sì, nell’indagine sulla maxi truffa sull’Iva dell’argento sarebbe indagato l’amministratore delegato di Oro Italia Trading, società del commercio di metalli preziosi controllata da Banca Etruria.

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