TrigliaLa similitudine relativa ai cibi poveri che ho usato la scorsa settimana -«profumati e volgari come donne di malaffare» – ha innescato una simpatica scorribanda nel lessico della cucina come similitudine e/o metafora della vita. Ero a cena con amici alcuni giorni fa e ci siamo messi, per gioco ovviamente, a elencare alla spicciolata i modi di dire che hanno cibi cucinati o materia commestibile grezza come protagonisti, in alcuni casi anche provando a immaginare perché proprio quel frutto, piatto o bevanda sia entrato nella lingua a indicare questa o quella attitudine. A contarli, sono più di quanti si crederebbe e confermano, se mai ce ne fosse bisogno, quanto profondo sia il legame fra noi e ciò che mangiamo.

Legame non sempre chiarissimo, però. Infatti, se il perché si dice che «Tempo rimesso a notte dura quanto tre pere cotte» è facile riassumerlo nella brevità del sereno atmosferico, non è altrettanto chiaro perché una persona dotata di scarsa prontezza intellettuale non capisca «un fico secco». Sì, perché se il fico è metafora di un cervello piccolo e raggrinzito, quindi qualcosa di negativo, come mai lo stesso frutto indica un uomo dall’estrema avvenenza? Un altro “mistero” è negli occhi dei pesci. Lo sguardo di chi è preda di un forte innamoramento (spesso non corrisposto!) e cerca di conquistare l’attenzione dell’oggetto del suo sentimento spesso è detto  «da pesce lesso» oppure «da triglia». Vorrei sapere chi, onestamente, ha mai trovato un solo guizzo di vitalità amorosa nelle orbite di una carpa bollita o di una triglia fritta.

Già, la frittura. Anche qui la contraddizione regna. Da una parte si dice che «fritta è buona pure una scarpa» a indicare la sovrana bontà dei cibi passati nell’olio bollente, ma dall’altra il gusto scadente e povero di proposte d’affari, di gioco e pure dei programmi televisivi viene liquidato come «fritto e rifritto».  Anche la minestra, a ben guardare, non se la passa bene. Il caos tutt’altro che creativo di un programma finisce cancellato quando diventa «un gran minestrone» e pure un amore che ha fatto il suo tempo di solito non sopravvive all’osservazione che «il loro rapporto ormai è una minestra riscaldata». E qui protesto: il minestrone scaldato il giorno dopo la preparazione è meglio di quello appena fatto. Ma, probabilmente, questa circostanza vale solo per il minestrone. A un primo piatto da bambini e malati dobbiamo il non piccolo contributo di aver risolto almeno parte di un dilemma. E’ noto che degli angeli ignoriamo il sesso, nonostante le millenarie discussioni in materia, ma grazie alla pasta fatta in casa conosciamo colore e consistenza dei loro capelli! Che, devo dire, non mi sembra un granché né da crudi né da cotti. Tornando alle similitudini, penso che i napoletani confermino la loro vincente fantasia anche in questo settore. Una persona carina, amorevole, mite, gentile e affettuosa per la maggior parte degli italiani è una creatura «dolce come lo zucchero», ma nel golfo più suggestivo dello Stivale chi gode di tali attributi è sì dolce, ma come un «babà»  il principe della pasticceria zuccherosa.

Il vero terreno scivoloso per il binomio lessico e cucina, comunque, è quello legato a frutta e verdura. Avere una «bocca di fragola» per una donna sarà sempre un complimento, anche se magari Freud potrebbe dissentire sulla semplicità dell’assunto, così come avere i seni che ricordano un altro frutto prettamente estivo non corrisponde esattamente a un elogio. Anche gli uomini non stanno messi bene. Un legume minuscolo e invariabilmente verde è di solito usato per descrivere la loro virilità a prescindere da dimensioni e consistenza, mentre lo scherno è in agguato  quando qualcuno (qualcuna?!) la esprime con un ortaggio sempre verde, ma decisamente più “lungo” : il fagiolino.

Comunque, amici, consolatevi. Per dire che qualcosa, o qualcuno, è arrivato al momento giusto, proprio quando c’era bisogno di lui (o lei…) si dice che capita proprio «a fagiolo».

 

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