FIRENZE – Uno spettacolo frutto di una ricerca di più di due anni sulle figure di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Tommaso Buscetta.

È “Nel tempo che ci resta”, di scena al Teatro Puccini di Firenze sabato 18 marzo alle ore 21.00 e domenica 19 marzo alle ore 16.45. Testo e regia di César Brie, con César Brie, Marco Colombo Bolla, Elena D’Agnolo, Rossella Guidotti e Donato Nubile.

Allontanandosi dall’idea di creare un documentario teatrale, lo spettacolo si presenta piuttosto come un’elegia, un atto d’amore e di gratitudine nei confronti di chi ha dedicato e oggi continua a dedicare la sua vita alla collettività e a una concreta testimonianza di coerenza, etica e giustizia. Il racconto della tragedia, che ha segnato le vite dei due magistrati e delle loro famiglie, non tralascia i momenti di luce, di gioia, di ironia: l’amore di Giovanni e Francesca, di Paolo ed Agnese, gli scherzi tra i due amici, la serenità della loro infanzia.

Un cantiere abbandonato a Villagrazia, il luogo dal quale partì Paolo Borsellino per andare incontro alla morte. In questo cantiere un uomo fa rotolare per terra delle arance.Tra le lamiere appaiono 4 figure che il profumo delle arance ha tolto dalle ombre. Si chiedono dove sono, qual è la terra in cui si trovano. Si riconoscono. Sono le anime di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e Agnese Piraino Leto. L’uomo che ha lanciato le arance si presenta. È Tommaso Buscetta, il pentito di mafia. Le anime delle due coppie e del pentito, si raccontano in questo cantiere abbandonato. I personaggi di quest’opera sono cinque e sono tutti morti.

Agnese la moglie di Paolo è stata l’ultima ad andarsene. Per vent’anni aveva cercato inutilmente la verità. Prima di lei se n’era andato il pentito che aveva fornito le chiavi a Giovanni e Paolo per capire la mafia dall’interno. Dieci anni prima della sua uscita di scena, nell’arco di due mesi, in quella sciagurata estate del 92, erano stati uccisi Giovanni e Francesca e poi Paolo. Si ritrovano da morti, in un cantiere abbandonato, tra resti di macerie e lo sfondo del mare, per raccontarsi e raccontarci cosa è successo prima e cosa è accaduto dopo. I morti non serbano rancore, ricordano con precisione, intrecciano fatti, accadimenti, segnali, indizi. Avevano visto e previsto tutto, anche la cattiveria e il tradimento.

La lotta alla mafia, le vittime, i tradimenti, i pensieri, le vicende personali e pubbliche, la trattativa, l’isolamento, le menzogne, il senso di dovere e l’amore si intrecciano in questa ricostruzione di ciò che è accaduto e di ciò che continuerà ad accadere. Così i morti ricompongono la mappa devastata di un paese che amavano ma che non accettavano e proprio perché lo amavano e non lo accettavano, cercavano di cambiarlo. Ed è l’amore che viene fuori da questa scena, malconcio, pieno di polvere e detriti.

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